THE PICTURE OF DORIAN GRAY - Oscar Wilde (pagg. 19-21)
IL RITRATTO DI DORIAN GRAY
(dal capitolo XI)
L'adorazione dei sensi spesso e molto giustamente è caduta in discredito perché gli uomini provano un istintivo terrore verso le
sensazioni e le passioni più forti di loro che sanno di dividere con forme di esistenza meno organizzate. Ma a Dorian Gray pareva che nessuno avesse mai compreso la vera natura dei propri sensi e
che essi fossero rimasti animaleschi e selvaggi Solo perché l’umanità aveva tentato di soggiogarli o di mortificarli attraverso la sofferenza invece di proporsi di farne elementi di nuova
spiritualità, la cui caratteristica dominante avrebbe dovuto essere un raffinato istinto del bello. Quando si voltava a guardare il cammino dell'uomo nella storia, un senso di perdita lo
ossessionava. A quante cose si era rinunciato! E per un così misero fine! Si erano viste folli rinunce dettate dall'ostinazione, forme mostruose di autopunizione e di abnegazione nate dalla paura
e finite in forme di degradazione infinitamente più terribili di tutte quelle presunte degradazioni da cui, nella loro ignoranza, gli nomini avevano cercato di fuggire. La natura, nella sua
meravigliosa ironia, spingeva l'anacoreta a nutrirsi insieme agli animali selvaggi del deserto e dava come compagni all'eremita gli animali dei campi.
Sì, come aveva preannunciato Lord Henry, sarebbe sorto un nuovo edonismo che avrebbe creato la vita e l'avrebbe salvata dal duro e sgradevole puritanesimo che ai giorni nostri conosce un
singolare risveglio. Questo edonismo avrebbe dovuto certamente appoggiarsi all’intelletto ma non avrebbe mai accettato teorie o sistemi implicanti la rinuncia a qualunque esperienza emotiva. Suo
scopo infatti avrebbe dovuto essere l'esperienza stessa e non i suoi frutti dolci o amari che fossero. Avrebbe ignorato sia l'ascetismo che mistifica i sensi, sia la volgare dissolutezza che li
assopisce. Avrebbe invece insegnato agli uomini a concentrarsi negli attimi di una vita che è essa stessa solo un attimo.
A pochi di noi non è mai capitato di svegliarsi prima
dell'alba, sia dopo una di quelle notti senza sogni che quasi ci fanno innamorare della morte, che dopo una di quelle notti di orrore e di gioia mostruosa quando nelle regioni della mente passano
fantasmi più terribili della realtà stessa, fantasmi imbevuti di quella vita ricca di colore che si nasconde nelle cose grottesche e che dà all'arte gotica la sua duratura vitalità, essendo
quest'arte, si potrebbe pensare, propria di chi ha avuto la mente turbata dal malanno della reverie. A poco a poco, bianche dita si insinuano attraverso le cortine e paiono tremare. Ombre mute
dalle nere forme fantastiche strisciano negli angoli della stanza e vi si acquattano. Fuori, gli uccelli si agitano tra le fronde, si sentono i rumori degli uomini che vanno al lavoro, o i
sospiri e i singhiozzi del vento che scende dai monti e si aggira intorno alla casa solitaria come se temesse di svegliare chi dorme e tuttavia costretto a evocare il sonno dalla sua purpurea
caverna. I soffici veli di nebbia si sollevano a uno a uno, a gradi le cose riacquistano forma e colore, e noi vediamo l'alba che restituisce al mondo l'antico aspetto. I pallidi specchi
riprendono la loro vita di imitazione. I candelabri senza fiamma sono dove li abbiamo lasciati. Accanto, c'è il libro a metà intonso che stavamo studiando o il fiore, sostenuto dal filo di ferro,
che portavamo al ballo, la lettera che, per timore, non abbiamo letto o che abbiamo letto troppe volte. Nulla ci appare cambiato. Dalle ombre della notte esce di nuovo la vita che conosciamo.
Dobbiamo riprenderla dove l'abbiamo lasciata e a questo punto, pian piano, ci pervade la terribile sensazione di dover continuare a impiegare energia nello stesso monotono circolo di abitudini
stereotipate, o anche il desiderio sfrenato che una mattina i nostri occhi si possano aprire su un mondo che nell'oscurità si è rinnovato per il nostro piacere, un mondo dove le cose abbiano
nuove forme e colori, siano diverse o abbiano altri segreti, un mondo in cui il passato abbia poca o nessuna importanza, o comunque sopravviva in forme ignare del dovere o del rimpianto: anche il
ricordo della gioia, infatti, possiede una sua amarezza e quello del piacere una sua pena.
La creazione di simili mondi pareva a Dorian Gray il vero scopo, o uno dei veri scopi, della vita; e nella sua ricerca di sensazioni a un tempo nuove e piacevoli, provviste di quegli elementi
insoliti così essenziali per lo spirito romantico, adottava spesso modi di pensiero che sapeva essere del tutto estranei alla sua natura. Si abbandonava alla loro sottile influenza, e poi, dopo
averne per così dire afferrato il colore e dopo aver soddisfatto la sua curiosità intellettuale, li lasciava perdere con quella curiosa indifferenza che non è incompatibile con un temperamento
ardente, ma che anzi, secondo alcuni psicologi moderni, spesso ne è una condizione.
Una volta si sparse la voce che stesse per convertirsi al
cattolicesimo, e certamente il rito romano aveva sempre avuto per lui un grande fascino. Il sacrificio quotidiano, più terribile di tutti i sacrifici del mondo antico, lo commuoveva sia per il
suo superbo rifiuto dell'evidenza dei sensi che per la primitiva semplicità dei suoi elementi e per l'eterno pathos della tragedia umana che vorrebbe rappresentare. Gli piaceva inginocchiarsi sul
freddo pavimento di marmo e guardare il sacerdote nei suoi rigidi paramenti fioriti quando scostava lentamente con le bianche mani il velo del tabernacolo o sollevava l'ostensorio tempestato di
gemme simile di forma a una lanterna, con quella pallida ostia che a volte si direbbe volentieri sia davvero il panis coelestis, il pane degli angeli; o quando, indossando le vesti della passione
di Cristo, spezzava l'ostia nel calice battendosi il petto per i suoi peccati. I turiboli fumanti, agitati nell'aria come grandi fiori dorati da ragazzi severi vestiti di pizzi e porpora, avevano
su di lui un sottile fascino. Mentre usciva era solito guardare con un senso di meraviglia i confessionali bui e sedeva a lungo nell'ombra profonda ascoltando uomini e donne che sussurravano
attraverso la grata consunta la storia vera della loro vita.
Ma non commise mai l'errore di arrestare il suo sviluppo intellettuale accettando formalmente un credo o un sistema, o di confondere con la casa dove si vive una locanda adatta solo per il sonno
di una notte o per le poche ore di una notte senza stelle in cui la luna si mostra a fatica. Il misticismo, con il suo meraviglioso potere di renderci insolite le cose banali, e il sottile
antinomismo che pare accompagnarlo sempre, lo interessarono per un breve periodo; per un altrettanto breve periodo si dedicò alle dottrine del movimento darwinista tedesco, e provò un singolare
piacere nel far risalire i pensieri e le passioni degli uomini a qualche perlacea cellula cerebrale, o a qualche bianco nervo del corpo, divertendosi all'idea dell'assoluta dipendenza dello
spirito da determinate condizioni fisiche, sane o malate, normali o morbose. Tuttavia, come già si è detto, nessuna teoria della vita gli pareva avere qualche importanza se paragonata alla vita
stessa. Era acutamente consapevole di quanto sia sterile ogni speculazione intellettuale quando è separata dall'azione e dall'esperienza. Sapeva che i sensi non meno dell'anima hanno i loro
misteri spirituali da rivelare.
continua...