DUBLINERS (THE DEAD) - (pagg. 60-62)

Si era profondamente addormentata.

Gabriel, appoggiato sul gomito, la guardò per alcuni istanti, senza rancore, i capelli scomposti e la bocca semiaperta, ascoltandone il profondo respiro. Dunque c'era un romanzo nella sua vita: un uomo era morto per lei. Sentiva un'acuta sensazione di pena ora, pensando alla misera parte che lui, il marito, aveva avuto nella sua vita. La osservava, mentre dormiva, come se non avessero mai vissuto insieme da uomo e donna. I suoi occhi curiosi indugiarono a lungo sul suo viso e sui suoi capelli e, mentre pensava a quella che doveva essere stata allora, al tempo della sua bellezza di fanciulla, una strana, benevola pietà per lei gli penetrò nell'anima. Non voleva ammettere neppure con se stesso che il suo viso non era più bello, ma sapeva che non era il viso per il quale Michael Furey aveva sfidato la morte.

Forse non gli aveva raccontato tutto. Posò gli occhi sulla sedia su cui lei aveva gettato alcuni indumenti. Un laccio della sottana pendeva sul pavimento, uno stivaletto, la cui parte alta era afflosciata, stava diritto e il compagno gli giaceva di fianco. Si meravigliò della sua eccitazione di prima. Da dove era nata? Dalla cena delle zie, dal suo sciocco discorso, dal vino e dal ballare, dal festoso scambiarsi la buona notte nell'atrio e dal piacere della passeggiata lungo il fiume sulla neve. Povera zia Julia! Anche lei, presto, sarebbe stata un'ombra come Patrick Morkan e il suo cavallo. Glielo aveva letto in faccia per un momento, quando cantava: "Ornata per le nozze". Presto, forse, si sarebbe trovato seduto nello stesso salotto, vestito di nero, col cilindro sulle ginocchia. Le imposte sarebbero state socchiuse, e zia Kate, seduta vicino a lui, piangendo e soffiandosi il naso, gli avrebbe raccontato come Julia era morta. Si sarebbe spremuto le meningi per trovare qualche parola che potesse consolarla e ne avrebbe trovato solo di banali e inutili. Sì, sarebbe successo molto presto.

L'aria della stanza gli faceva sentire freddo alle spalle. Si lasciò scivolare pian piano sotto il lenzuolo e si coricò vicino alla moglie. A uno a uno sarebbero diventati tutti delle ombre. Meglio passare a miglior vita baldanzosamente, nel pieno splendore di qualche passione, piuttosto che appassire e spegnersi lentamente di vecchiaia. Pensava a come colei che gli giaceva accanto avesse per tanti anni custodito gelosamente nel cuore l'immagine degli occhi del suo innamorato, quando le aveva detto che non desiderava vivere.

Lacrime generose riempirono gli occhi di Gabriel. Lui non lo aveva mai provato per nessuna donna, ma sapeva che un sentimento simile doveva essere amore. Le lacrime gli salirono più abbondanti agli occhi, e, nella semioscurità, immaginò di vedere la sagoma di un giovinetto in piedi sotto un albero gocciolante. Altre figure gli erano vicino. La sua anima si era avvicinata a quella regione dove abita l'immensa schiera dei morti. Era consapevole della loro esistenza aerea e incorporea, ma non poteva afferrarla. La sua stessa identità svaniva in un grigio mondo impalpabile: lo stesso solido mondo, in cui questi morti avevano operato e vissuto, si dissolveva e svaniva.

Un leggero picchiare sui vetri lo fece girare verso la finestra. Aveva ricominciato a nevicare. Osservò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, cadere obliquamente contro il lampione. Era tempo per lui di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali avevano ragione: nevicava in tutta l'Irlanda. La neve cadeva su ogni punto dell'oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey.

Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l'universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.

 

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